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Informazioni personali

Blog curato da Marco di Silvestro

mercoledì 28 maggio 2008

Perché la Rosa Bianca

La Rosa Bianca è il nome di un gruppo di studenti tedeschi che pagarono con la vita la loro opposizione al regime nazista. La Weiße Rose era composta da Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf, tutti poco più che ventenni, cui si unì successivamente il professor Kurt Huber. La nostra scuola si chiama così.

La rosa bianca di Silvia Stella

sabato 17 maggio 2008

Differences: il cortometraggio



DIFFERENCES
Il progetto “Differences” ha compreso il laboratorio teatrale a cui hanno partecipato alunni della classe prima e terza della sezione B, e la realizzazione di un cortometraggio dal titolo “Differences” che è stato girato coinvolgendo tutti gli alunni della classe prima B. L'argomento principale è stato quello della tolleranza e del rispetto delle diversità non solo etniche ma anche culturali. Gli spunti e il materiale di discussione sono stati tratti essenzialmente da due fonti: il sito Tolerance.it che contiene al suo interno interventi tra gli altri del giornalista Furio Colombo e dello scrittore Umberto Eco e alcuni brani tratti dal saggio dell'economista indiano Amartya Sen “Identità e violenza”.
Le basic ideas del lavoro sono state le seguenti:
Da Amartya Sen
Molti dei conflitti e delle atrocità del mondo sono tenute in piedi dall’illusione di un’identità univoca e senza possibilità di scelta.
Un sentimento forte di appartenenza ad un gruppo può in alcuni casi portare con sé la percezione di distanza e di divergenza da altri gruppi.
Il problema dell’equità in un mondo di gruppi diversi e identità disparate necessita di una comprensione più approfondita.
E’ ingiusto prendere dei bambini , collocarli in rigidi contenitori e dire loro:” Questa è la tua identità e non potrai avere altro”.
La principale speranza d’armonia nel nostro tormentato mondo risiede nella pluralità delle nostre identità.
L’identità può uccidere, può uccidere con trasporto.
Da Tolerance.it:
Come si può essere diversi ma uguali?

Le quattro "basic ideas" in cui si articola il capitolo sono: 1 - Le differenze esistono. Non si diventa uguali negando che esistano le differenze. Le differenze esistono e vanno riconosciute. 2 - Le differenze possono spiacere. Non sempre le differenze degli altri ci piacciono. Ma questo non significa che noi siamo cattivi. Diventiamo cattivi quando vogliamo impedire agli altri di essere diversi. 3 - Le differenze sono anche positive. Le differenze sono ciò che rende il mondo un posto interessante in cui vivere. 4 - Conviene accettare le differenze. L'unico modo per vivere pacificamente insieme agli altri è accettare le differenze. Una volta accettata l'idea che le differenze esistono e che, malgrado alcune siano positive, altre possono non piacerci, bisogna convincersi che la vita sociale ci impone di tollerare anche certe cose che non ci piacciono, e a nostro vantaggio.

Il lavoro ha seguito le seguenti fasi:
Prima fase
Presentazione e discussione delle idee di cui sopra sia nel gruppo teatro sia in classe. Lavoro di preparazione degli attori nel laboratorio teatrale, esercizi di espressione corporea, impostazione della voce ecc.
Seconda fase
Stesura di un canovaccio su cui basare la sceneggiatura del video. Le scene venivano discusse e decise di incontro in incontro. Alla fine di ogni incontro si rivedeva il girato del giorno commentando e suggerendo.
Terza fase
Montaggio del cortometraggio

Quarta fase
Visione del cortometraggio e preparazione di un “libretto delle istruzioni” di cui i ragazzi hanno scritto il testo ed eseguito disegni preparatori nonché suggerito alcune soluzioni grafiche.

sabato 10 maggio 2008

La terra e il mare



E la scuola è il terreno dove si può arare, dove oggi si si semina e domani si raccoglie: il patrimonio culturale elaborato nel corso dei secoli viene affidato oggi alle nuove generazioni perché ne possano domani raccogliere i frutti e tramandarne i nuovi semi un'altra volta al futuro. [...]
L'educazione è la terra, ed è Gaia,la terra che dal suo grembo fa crescere il mondo. gli uomini e perfino gli dei.
Chiunque si arrampichi sui fianchi dell'esistenza non può affidare solo all'orizzonte stretto del proprio orto e degli obiettivi misurabili e tangibili la propria e l'altrui speranza di un domani migliore. né alla sola acqua della prosa la soddisfazione della propria sete di futuro.[...] Il vino della poesia creativo e vitale, produttivo e dinamico sospinge l'acqua del mare affinché non siano la routine e i traguardi ristretti e limitati a frenare una crescita potenzialmente vigorosa e In qualche modo possibile. L'educazione è Oceano, I dio padre di tutti i fiumi che scorrono senza fermarsi mai. E 'oceano, dice G. Rossi, è una pagina perpetuamente bianca dove tutto si può scrivere e nulla resta inciso, dove niente rimane perennemente impresso e tutto si può inventare.
Dare memoria al mare e orizzonti alla terra: è questo dunque il compito dell'educazione? [...]
[I.Verda, La terra e il mare in "Dirigere la scuola", maggio n.5]

domenica 4 maggio 2008

La grammatica





Riflettere sulla lingua non vuol dire “fare grammatica” nel senso tradizionale dell’espressione (studiare regole e regolette, terminologia astrusa, classificazioni poco trasparenti che si dimenticano in pochi giorni). Si tratta invece di un’attività formativa importante, che a scuola inizia con l’accogliere e valorizzare le forme spontanee di riflessione sulla lingua già presenti nei bambini, e prosegue poi accompagnando ogni attività didattica sulla e con la lingua con riflessioni almeno in parte sistematiche, in un linguaggio dapprima elementare poi via via più specifico.

La riflessione sulla lingua nazionale, o sulla lingua materna, deve essere in ogni caso subordinata allo sviluppo delle abilità linguistiche, cioè al raggiungimento della capacità di ascoltare, parlare, leggere, scrivere in modo adeguato all’età; ha finalità essenzialmente cognitive e contribuisce solo in via indiretta a un uso più consapevole e corretto della lingua. Contribuisce inoltre all’apprendimento delle lingue seconde, straniere, classiche, fornendo una base di riferimento comune a utili riflessioni comparative.

La riflessione sulla lingua dovrebbe avere carattere essenzialmente descrittivo: si tratta di vedere e capire come la lingua è usata, prima che di insegnare come dovrebbe essere usata. L’enunciazione di norme dovrebbe essere accompagnata dalla riflessione sulla loro variabilità nel tempo e nello spazio, secondo la stratificazione socio-culturale dei parlanti e secondo i mezzi e le forme della comunicazione; dovrebbe muovere dall’osservazione degli usi linguistici reali per giungere a generalizzazioni che saranno sottoposte a ulteriore discussione e verifica sugli usi reali. E questo avrà ricadute positive su tutti i suoi processi di apprendimento, in tutte le discipline.

[da http://www.giscel.org/OltrelaRiforma.htm]



lunedì 28 aprile 2008

La voce di Quintiliano


Egli dica ogni giorno qualcosa, anzi, molte cose che coloro che ascoltano ripetano poi da soli. Infatti anche se la lettura fornisce un numero di esempi sufficiente all'imitazione, tuttavia quella che si definisce "viva"voce fornisce un nutrimento più ricco: specialmente quella di un maestro che gli alunni, purché adeguatamente formati, amano e temono al tempo stesso.[...]
[Quintiliano, Institutio Oratoria, 8]

domenica 20 aprile 2008

La testa ben fatta



Questo libro è in realtà dedicato all' educazione e all'insegnamento. Questi due termini coincidono e nello stesso tempo si differenziano. L'"educazione" è una parola forte: "Messa in opera dei mezzi atti ad assicurare la formazione e lo sviluppo di un essere umano; questi mezzi stessi" (Le Robert). Il termine "formazione", con le sue connotazioni di lavorazione e di conformazione, ha il difetto di ignorare che la missione della didattica è di incoraggiare l'autodidattica, destando, suscitando, favorendo : L'autodidattica, destando, suscitando, favorendo l'autonomia dello spirito. L'"insegnamento", arte o azione di trasmettere conoscenze a un allievo in modo che egli le comprenda e le assimili, ha un senso più restrittivo perché solamente cognitivo.
A dire il vero la parola "insegnamento" non mi basta, ma la parola "educazione" comporta un troppo e una mancanza. In questo libro farò lo slalom fra i due termini, avendo in mente un insegnamento educativo.
La missione di questo insegnamento è di trasmettere non del puro sapere, ma una cultura che permetta di comprendere la nostra condizione e di aiutarci a vivere; essa è nello stesso tempo una maniera di pensare in modo aperto e libero.
Kleist ha proprio ragione: "li sapere non ci rende migliori né più felici".
Ma l'educazione può aiutare a diventare migliori e, se non più felici, ci insegna ad accettare la parte prosaica e a vivere la parte poetica delle nostre vite.
[Edgar Morin, La testa ben fatta, pp.1-3]

domenica 13 aprile 2008

Esistono ragazzi disattenti?

















[...]

Tali differenze non incidono granché sull' attenzione degli studenti che vanno bene. Costoro godono di una facoltà benedetta: cambiare pelle a proprio piacimento, al momento giusto, al posto giusto, passare dall'adolescente agitato all'allievo attento, dall'innamorato respinto al cervellone matematico, dal giocatore al secchione, dall'altrove al qui,passato al presente, dalla matematica alla letteratura... E la velocità di incarnazione a distinguere coloro che vanno bene da coloro che hanno qualche difficoltà. Questi, come viene rimproverato loro dai professori, sono spesso altrove S! liberano più faticosamente dell' ora precedente, cincischiano in un ricordo o si proiettano in un qualsiasi desiderio di altro. La loro sedia è un trampolino che li scaglia fuori dall'aula nell'istante stesso in cui vi si posano. A meno che non vi si addormentino. Se voglio sperare nella loro piena presenza, devo aiutarli a calarsi nella mia lezione. Come riuscirei? È qualcosa che si impara, soprattutto sul campo, col tempo. Una sola certezza, la presenza dei miei allievi dipende strettamente dalla mia: dal mio essere presente all'intera classe e a ogni individuo in particolare, dalla mia presenza alla mia materia, dalla mia presenza fisica, intellettuale e mentale, per i cinquantacinque minuti in cui durerà la mia lezione.

[Dal "Diario di scuola" di Daniel Pennac]

sabato 5 aprile 2008

Insegnare che passione! (dedicato a chi sta andando in pensione)


di GABRIELLA LAZZERINI

Gabriella Lazzerini, esperta di problemi della lingua italiana, era docente di Lettere in un istituto tecnico commerciale di Milano. Faceva parte della comunità scientifica femminile Ipazia.











Non è un titolo ironico. Mi riferisco al senso comune che si attribuisce alla parola, attestato dal dizionario Gabrielli come «forte inclinazione a fare qualcosa», che comprende, etimologicamente, anche il significato di patire (ma qual è la passione, fosse anche quella calcistica, che non dà patimenti?).

lo credo che questa passione sia piuttosto diffusa e che sia quella che in sostanza fa funzionare le scuole (ma anche gli ospedali, le fabbriche, gli uffici, i tribunali e via discorrendo). Si può essere arrivati . all'insegnamento per desiderio, per volontà, per caso o per ripiego: poco importa. Quel che conta è, come sempre, il rapporto che si instaura con una necessità che anche solo in termini di tempo occupa una bella porzione dell'esistenza. Credo anche che di questa passione si parli poco,per una sorta di pudore reticente che, non da solo, è una delle cause del poco valore che oggi socialmente si attribuisce alla scuola. Sarebbe interessante indagarne le ragioni profonde. Soggettive e sociali.Appartengo al gruppo consistente delle insegnanti che lo scorso anno non hanno presentato domanda di pensione. Mi trattiene - oltre all'interesse che per me continua ad avere questo lavoro – una speranza. Che io, insieme ad altre e ad altri, riesca a tener alto il livello di civiltà della società futura, tanto che essa giudichi intollerabile lasciar morire di inedia i suoi vecchi e le sue vecchie.

Anzi soprattutto queste ultime, viste le statistiche sulla durata media della vita delle donne. Mi sorregge innanzi tutto il fatto che ciò che vado a fare cinque mattine la settimana sia un'operazione profondamente sensata. Che ha senso e dà senso. E a questo punto si arriva a un discorso difficile, perché qui si incontrano - non dirò si oppongono – ragioni individuali ed esigenze sociali.

Insegno nel biennio di un istituto tecnico commerciale di Milano. Questo lavoro mi mette in rapporto con giovani e meno giovani che non avrei l'occasione di incontrare altrimenti. Via via che il tempo passa e l'età avanza il territorio culturale comune si restringe. Sono altri il linguaggio, i parametri di riferimento delle ragazze e dei ragazzi che ogni anno mi trovo davanti. Diversi dai miei e in ciascuna e in ciascuno filtrati da tutti gli elementi che ne costituiscono l'irripetibile soggettività: appartenenza di sesso, storia familiare, provenienza sociale e geografica, sensibilità, attitudini.

L'elenco potrebbe continuare all'infinito. Con tutti questi aspetti la trasmissione del sapere deve fare i conti. E una ricerca costante (altro che mestiere ripetitivo!) che implica attenzione, richiede continuamente aggiustamenti e correzioni di tiro, conosce successi e fallimenti, si porta dietro punti interrogativi e questioni irrisolte. Quel che andava bene l'anno precedente non è detto che funzioni l'anno dopo, e poi bisogna sempre tener d'occhio che cosa

succede nel mondo. Per regolarmi ho due punti fermi: la passione e l'ascolto. Passione vuoI dire dar retta alle proprie preferenze: di percorsi, di metodologie, di contenuti, di atteggiamenti. Ciò che ci appartiene, ci intriga, ci convince è molto più facile trasmetterlo di quello che si affronta solo per dovere. In questa prospettiva, i famosi programmi ministeriali sono un quadro di riferimento, tanto più utile quanto più sono ispirati da pratiche didattiche reali ed esperienze sul campo e non concepiti a tavolino.

Per ascolto intendo fare tante domande di cui non si conosce in anticipo la risposta, e che non hanno una risposta esatta. Ogni studente è un mondo nuovo (è il vero "nuovo" che avanza) che arriva a scuola con un proprio e personale bagaglio diesperienze, desideri, aspettative e anche pregiudizi. E un soggetto e non certo un oggetto o un vaso da riempire. Devo fargli capire, attraverso gesti concreti e non dichiarazioni di principio, che io sono genuinamente interessata a quanto ha da dirmi. Altro materiale lo ricavo da quanto hanno osservato e ascoltato le mie colleghe, dalle interazioni con madri e padri, dai giudizi di chi mi ha preceduto.

Riguardo a quest'ultimo punto, denuncio un limite che è anche mio: i vari ordini di scuola, dalla materna all'università, si parlano poco, e questo favorisce la pratica volgarmente detta dello scaricabarile, vale a dire l'attribuzione di responsabilità, per ogni difficoltà o mancanza, alla scuola
precedente.Trarre conclusioni, da tutta questa massa di informazioni, è un atto di grande responsabilità che mi riguarda in prima persona, e non c'è scheda che possa sostituire l'osservazione di ciò che in un rapporto accade continuamente. Non voglio dire che gli "spostamenti" che mette in moto un rapporto pedagogicosiano ineffabili e incomunicabili. Vorrei solo mettere in guardia chi si aspetta che le grandi difficoltà che incontriamo nel nostro lavoro e il senso di inquietudine profonda (del tutto giustificato, e non attribuibile a incapacità o mancanza personale) che prende noi insegnanti nel momento di decidere e valutare trovino una cura risolutiva nel ricorrere a strumenti di misurazione cosiddetti oggettivi.

Test, griglie e questionari li uso anch'io svariate volte nel corso dell'anno. Sono strumenti, per certe occasioni, buoni come altri, soprattutto se maneggiati con cautela: sapendo cioè che sono strumenti parzialissimi, perché attraverso di essi non si può pretendere di misurare tutto, di prevedere in anticipo tutto, di catalogare tutto. Non si tratta di reperire o di elaborare la scheda finalmente

perfetta, precisa ed esaustiva, in cui le liste di specifiche possono allungarsi all'infinito. C'è invece da considerare che siamo in presenza di una contraddizione, strutturale e non oltrepassabile: misurare ciò che evolve e si modifica (lo studente, ma anche la relazione che abbiamo con lui/

lei e di conseguenza noi) ha un residuo di soggettività ineliminabile. Questa e altre contraddizioni, bisogna sforzarsi di articolarle ma non in solitudine. Per ciò io trovo come strumento insostituibile la parola, la parola "parlata", la parola che si scambia nei contesti. D'altronde la lingua funziona proprio in questo modo: rispetto al mondo dei significati, i significanti sono sempre imperfetti, però gli esseri umani tra loro spesso comunicano e io, che la lingua la insegno, continuo a scommettere .sulle sue infinite potenzialità.

Per finire: ho molta speranza per queste nuove generazioni. che talvolta ci sembrano abitanti di un altro pianeta.

So che misurare l'efficacia della scuola nel suo contributo alla crescita dell'incivilimento degli esseri umani è un'operazione che non si fa con le statistiche. Com'è possibile, infatti, misurare quanto meno la scuola ha prodotto di disagio sociale e quanto più di benessere individuale e collettivo di sviluppo, ad esempio, di curiosità e di felicità?

Eppure mi conforta leggere i dati di una recente inchiesta del COSPES. SU10.000 interviste (giovani tra i 14 e i 19 anni), il modello preferito di insegnante è quello «ricco di fantasia e di stimoli» che batte di molte misure l'«affabile e cordiale con gli allievi» relegando all'ultimo posto
nella scala dei gradimenti il «serio,sistematico e competente». E mettendo per un momento da parte il problema costituito, nella nostra epoca, da sondaggi pilotati e statistiche bugiarde, proviamo

a leggere, prendendolo sul serio, l'arido dato. Ci dice che studentesse e studenti sono attratte e attratti da chi, anche in presenza di un sapere vecchio come il mondo, si mette in gioco per reinventarlo, che la competenza senza passione, così come l'affettività pura e semplice, gli

interessano molto meno. Il modello che i giovani hanno in mente assomiglia - anche nelle semplificazioni di un questionario - a quello che ho il!-mente io e che mi sforzo di praticare. E possibile che sia un modello che non ha niente a che vedere con le loro esperienze? È realistico

pensare che qualcuna di queste figure nella scuola che hanno frequentato non l'abbiano incontrata?

lunedì 31 marzo 2008

Essere educatori oggi








I problemi che i giovani attraversano in questi anni sembrano essere così complicati da far pensare che più importante dell'intervento educativo diventi quello preventivo. Questo può essere anche accettato su un piano di una prospettiva di lunga scadenza, ma gli stessi problemi richiedono la passione e la competenza per essere educatori oggi. È difficile immaginare che ci si possa dedicare alla prevenzione pensando che l'attività direttamente educativa avvenga in un secondo tempo e sulla base dei risultati della prevenzione. Prevenzione di cosa? Bisogna conoscere, non capiamo bene i problemi che dovremmo in qualche modo far sì che non sorgano.
Per capirli bisogna incontrarli, e non si incontrano i problemi, si incontrano gli individui.
Essere educatori oggi significa avere una passione e una competenza. E vanno in quest' ordine:
bisogna avere una passione. In cosa può consistere? Nella voglia di fare, non si può essere educatori con una vocazione esclusivamente riflessiva e contemplativa; bisogna anche agire. La voglia di fare deriva, riteniamo, da un desiderio di non affrontare la vita in termini passivi: appassionarsi ad essere attivi, e quindi appassionarsi a una società. Bisogna appassionarsi al sociale sapendo che nel sociale ci sono gli individui.
Bisogna accompagnare la passione con la competenza. Essere educatori oggi significa dedicare
il nostro tempo all'acquisizione di strumenti e di competenze. Non so se si debba dire che è finito
il tempo di educatori esclusivamente vocazionali, forse non è mai esistito quel tempo, ma noi
abbiamo creduto, forse, che esistessero gli educatori che sapevano essere tali per vocazione.
Oggi anche se esistesse questa vocazione, e forse il termine passione è un modo di esprimere ancora il vecchio termine vocazione, si deve però ritenere fondamentale l'aspetto «preparazione», sviluppo delle competenze: conoscere le tecniche di ascolto, le tecniche di mediazione, di negoziazione, e anche le tecniche di organizzazione di un gruppo di giovani con una capacità particolare, quella di sapere provocare l'apertura del tempo. Cosa significa questo? Uno dei problemi di chi è giovane è vivere una continua frantumazione del tempo, per cui l'istante e l'immersione in quello che accade nell'istante diventano l'unica dimensione temporale che appare, almeno.
Chi è educatore oggi deve aprire la dimensione del tempo come durata, quindi scoprire le possibilità del far seguire agli eventi in cui le persone sono immerse altre dimensioni. A volte si dice: «Bisogna raggiungere ragazzi e ragazze là dove sono. Se sono le discoteche siano le discoteche, se sono i punti di aggregazione negli spazi all'aperto, davanti al bar, per le strade, sia
là»~Benissimo, ma che non finisca là!Bisogna aprire una dimensione di tempo, invogliare e invogliarci a rispondere alla domanda: «Come andrà avanti questa storia?». È una storia e non
è un quadro, è una storia.

Queste sono le ragioni che impegnano ad essere educatore oggi, ed è la ricerca dei mediatori e dei
rituali sociali. I rituali sociali, attualmente, sono estremamente poveri e isterici, sono chiassosi e
rovinosi, non possiamo definirli neppure rituali.
Bere e buttare le bottiglie, e riempire le piazze di cocci di vetro, non è un rituale, è una distruzione.
Bisogna maturare dei rituali di incontro e gli educatori hanno questo compito, così importante,
e questa ragione. I compiti sono anche ragioni:capire, studiare, proporre dei rituali come
elementi mediatori di aggregazione, per un percorso, non per «star 11»,non per bivaccare se non
per prendere fiato e andare avanti. Vale ancora quell'indicazione che veniva da un vecchio prete
della bassa, Don Primo Mazzolari: «Quando ci sono delle giovani in crisi, invece di chiedere
poco bisogna chiedere di più!». Però bisognaessere credibili, e gli educatori credibili sono educatori competenti, lavoriamo per questo.

Andrea Canevaro

domenica 16 marzo 2008

IL MOVIMENTO “SCOUT” di Lorenzo G. Classe 3b






















Gli scout fanno parte di un movimento educativo per i giovani fondato sul volontariato, di carattere non partitico, aperto a tutti senza distinzione di origine, di etnia né di credenza religiosa, in conformità agli scopi, principi e metodi concepiti dal fondatore, Sir Robert Baden-Powell, che gli scout chiamano semplicemente B.-P. Il movimento scout nacque nel in 1907 dove Baden-Powell organizzò, con un gruppo di ventidue ragazzi inglesi, il primo campo scout del mondo nell'isola di Brownsea, nella baia di Poole, sulla Manica. Inizialmente lo scautismo fu rivolto solo ai ragazzi maschi.

Nel 1910 Baden-Powell fondò ufficialmente l'Associazione delle . L'idea gli venne suggerita ad un raduno scout nel 1909, dove sette ragazze sfilarono inaspettatamente sotto gli occhi di Baden-Powell autodefinendosi. L'organizzazione di questo movimento parallelo venne in un primo tempo affidata alla sorella Agnes , ma in seguito passò a sua moglie Olave.

La parola scout significa esploratore. Veniva e viene tuttora usata in ambito militare per indicare tutti quei mezzi e quelle attività volte a localizzare il nemico. Fu scelta da Baden-Powell pensando ai ragazzi e ai molteplici orizzonti che essi potevano scoprire; il termine vuole anche far pensare a delle persone in grado di cavarsela da soli nelle situazioni più svariate, organizzate ed attrezzate, sia interiormente che esteriormente, ad ogni evenienza.

Il termine simile boy scout, era usato inizialmente per caratterizzare in senso giovanile questo movimento (che si rivolge ai ragazzi e non agli adulti), ed in seguito anche per distinguere gli scout maschi dalle girl guides (ragazze). In Gran Bretagna venne mutato in "scout" nel 1966, nell'ambito di estese riforme. In altre nazioni (fra cui l'Italia) è caduto in disuso dagli anni 70, cioè quando la maggior parte delle associazioni ha iniziato ad avere soci di entrambi i sessi (anche se con modalità diverse). L'espressione boy scout è talvolta ancora usata all'estero in associazioni esclusivamente maschili (specialmente negli USA). In Italia il termine boy scout (spesso erroneamente scritto con un trattino) viene utilizzato prevalentemente con una accezione derisoria o da chi non conosce il movimento.

Lo scautismo è caratterizzato da un metodo educativo ed un codice comportamentale non formale, il cui fine ultimo è di dare la possibilità ai giovani di diventare "buoni cittadini", responsabilmente impegnati nella vita del loro paese e predisposti ad essere futuri "cittadini del mondo" volenterosi di migliorare la propria società e sostenitori convinti della fratellanza tra i popoli. Si basa, quindi, su un semplice codice di valori di vita (la Legge scout e la Promessa), sul principio dell'imparare facendo, che delinea la crescita personale degli individui tramite l'esperienza attiva e partecipata, sulla metodologia di attività per piccoli gruppi, che sviluppa la responsabilità, la partecipazione e le capacità decisionali, e sulla sfida di offrire ai giovani attività sempre stimolanti ed interessanti.

In particolare Baden-Powell schematizza nei suoi scritti il suddetto sistema educativo in quattro punti fondamentali:

  • Formazione del carattere

  • Abilità manuale

  • Salute e forza fisica

  • Servizio

Cosa c'è dietro il successo di un grande paese?























Tra il 1906 e il 1911 l'istruzione assorbì qualcosa come il 43 per cento dei bilanci delle città e dei paesi di tutto il Giappone. Nel 1906, gli ufficiali dell'esercito incaricati del reclutamento rilevavano che, al contrario di quanto succedeva alla fine dell'Ottocento, quasi tutte le nuove reclute erano già in grado di leggere e di scrivere. Nel 1910, in Giappone, tutti frequentavano la scuola elementare. Nel 1910, nonostante fosse ancora molto povero e sottosviluppato dal punto di vista economico, il Giappone era diventato uno dei maggiori produttori di libri del mondo, con un numero di pubblicazioni superiori a quello della Gran Bretagna e addirittura doppio rispetto agli Stati Uniti.
[A.Sen, op.cit.]

domenica 9 marzo 2008

L'importanza della scuola di Amartya Sen




















L'importanza di un'istruzione scolastica non settaria e non confessionale, capace di espandere, invece di ridurre, la capacità di penetrazione della ragione (compresa l'analisi critica) è fondamentale. Come disse Shakespeare, "alcuni la grandezza la possiedono per nascita, altri la conquistano, altri ancora la ricevono in dono". I bambini, che hanno la vita davanti a loro, dalla scuola non devono "ricevere in dono" la piccolezza. C'è molto in gioco.
[Amartya Sen, Identità e violenza, pag.121, Laterza 2006]

sabato 8 marzo 2008

Il tango di Malena M. 3b








Il tango è una forma d'arte che comprende musica e danza nata a Buenos Aires(Argentina) e intorno alla seconda metà dell'800.

Il tango utilizza per le sue esecuzioni uno strumento, forse inventato o forse popolarizzato dal musicista tedesco, una sorta di fisarmonica di legno con dei fori la cui apertura o chiusura con i polpastrelli produce le note, e che ha la caratteristica di cambiare la nota a seconda se il mantice viene compresso o invece dilatato. Pur essendo una musica molto sincopata, non utilizza strumenti a percussione ed anche gli altri strumenti utilizzati vengono suonati in modo del tutto particolare per dare forti accenti di battuta e segnature ritmiche. La sua struttura armonica, però, è tipicamente italiana. In principio il tango si affermò come musica popolare nel rapido e tumultuoso sviluppo di Buenos Aires, che in breve passò da 210.000 a 1.200.000 abitanti. I grandi autori di tango (Le Pera, Contursi, Discépolo, Solanas, Troilo, Esposito, Gardel, Filiberto, Razzano, Cobiàn, Cadicamo ed altri) ne fecero una musica nazionale.

sabato 1 marzo 2008

L'etimologia della parola scuola
























Potrà apparire incredibile, ma la
parola scuola che per la massima parte dei giovani suona come lavoro, sudore, pena, sonno perduto, ansie e a volte scapaccioni, in origine significava esattamente il contrario: riposo, ozio, tempo beato lontano da ogni fatica e preoccupazione. Scuola deriva infatti dal greco scholé, che vale appunto "riposo"; e questo perché in antico gli uomini, i soli che si dedicassero agli studi essendone le donne scrupolosamente escluse, finché avevano muscoli sani eran dediti alle cure delle armi o dei campi. Perciò quei pochi momenti liberi che potevano dedicarsi all'esercizio della mente erano considerati un riposo piacevole, uno svago ristoratore.
(Da Wikipedia)

sabato 23 febbraio 2008

La scuola dei ragazzi e le colpe dei professori.



di Umberto Galimberti, la Repubblica ed. di Milano del 13/9/2006



A sentirli quando sono intervistati dalla tv fanno un po´ pena. «Siete contenti di ritornare a scuola?». «Sì, così rivediamo i nostri amici». Certo la socializzazione è una cosa importante a scuola, ma non è lo scopo primario.

Istruzione della mente (a cui si limitano i professori) ed educazione dei sentimenti (a cui dovrebbe estendersi la loro competenza, perché dalla formazione del sentimento dipende la moralità dei comportamenti) dovrebbero essere gli scopi primari della scuola che in questi giorni si riapre.

Nella ritualità della ricorrenza potrebbe accadere qualcosa di nuovo se solo i professori si rendessero conto che non è vero che gli studenti non hanno voglia di studiare. Semplicemente dovrebbero essere motivati da insegnanti «carismatici». Con questa parola intendo la capacità di intercettare l´entusiasmo, che è una prerogativa giovanile, attraverso la fascinazione, e nella fascinazione far passare i contenuti culturali trasmessi con rigore e serietà.

Perché i giovani credono nel rigore, mentre non aprono un libro se hanno la sensazione che applicarsi o non applicarsi a scuola porta più o meno allo stesso risultato.

La fascinazione disgiunta dal rigore approda al plagio, che non è un processo educativo, perché arresta lo sviluppo della personalità dello studente in quello stadio pigro che è la pura e semplice adorazione per il professore che incanta. Ma anche il rigore senza fascinazione non approda a una crescita, perché si risolve in un puro esercizio della volontà, senza il sostegno di un investimento emotivo e quindi di un autentico interesse che è il vero motore dell´apprendimento.

Sappiamo tutti, infatti, che la «buona volontà» a cui, come a una formula magica, ricorrono i professori nei loro sbiaditi colloqui con i genitori, non esiste al di fuori dell´interesse, che l´interesse non esiste separato da un legame emotivo, che il legame emotivo non si costruisce quando il rapporto tra professore e studente è un rapporto di reciproca diffidenza, quando non di assoluta incomprensione che scatta non appena la psicologia dello studente esce dagli schemi della psicologia del professore.

Per questo basta pochissimo e, se si evita l´abbandono scolastico che, non dipende tanto dalle difficoltà che si incontrano quanto dalla paura di essere rifiutati, certo non si evita quella demotivazione insidiosa che spegne in giovani vite il rispetto di sé.

I giovani di oggi sono fragili perché troppo gratificati dalla famiglia e dalla società che li educano al principio del piacere più che a quello della realtà. Eppure la realtà li attende alla fine del loro percorso scolastico e universitario, quando il loro sguardo, non più adolescente, non commuove più nessuno. Ed è lì che pagano il conto di percorsi scolastici poco affascinanti e poco seri che non sono stati in grado di intercettare il potenziale della loro intelligenza e della loro volontà di riuscire.

Se a ciò si aggiunge che il progresso o il regresso di un paese, le opportunità da cogliere e gli scenari su cui investire dipendono in larga misura dal livello culturale raggiunto dalle nuove generazioni. Capiamo quanta responsabilità ricade sulla scuola, di cui i politici finora non hanno tenuto gran conto, perché il loro sguardo non si allunga oltre la loro legislatura, che è un tempo troppo corto per i processi di formazione, che solo apparentemente sono marginali per lo sviluppo di un Paese, per il suo benessere e per la stessa felicità degli individui.

La raccolta differenziata di Adele P.


Cartoni, giornali, bottiglie di plastica e di vetro, scatolette di alluminio e di metalli vari, sonno alcuni dei diversi tipi di rifiuti che eliminiamo come “spazzatura”.

Frutta, verdura e altri resti alimentari si degradano in poche settimane, essendo biodegradabili.

Un sacchetto di plastica, un vecchio pneumatico, invece, possono resistere per decine e decine di anni: la plastica e la gomma non sono biodegradabili.

I rifiuti accumulati in enormi quantità nelle discariche, necessitano di tempi lunghi per essere smaltiti.

Un’alternativa a questa soluzione è la raccolta differenziata. Essa consiste nel separare i rifiuti di vetro, carta, plastica, alluminio, collocandogli negli appositi cassonetti. In questo modo, molti materiali di rifiuto, anziché andare perduti, possono essere riciclati, cioè riutilizzati per produrre nuovi oggetti.

La raccolta dei medicinali scaduti e delle pile scariche permette di recuperare sostanze pericolose per l’ambiente e per la nostra salute.

sabato 16 febbraio 2008

Sapere aude

























Kant, Risposta alla domanda: Che cosa è l'illuminismo?

Illuminismo (Aufklärung) è la liberazione dell'uomo dallo stato volontario di minorità intellettuale. Dico minorità intellettuale, l'incapacità di servirsi dell'intelletto senza la guida d'un altro. Volontaria è questa minorità quando la causa non sta nella mancanza d'intelletto, ma nella mancanza di decisione e di coraggio nel farne uso senza la guida di altri. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti del tuo proprio intelletto! Questo è il motto dell'illuminismo.

Pesci Rossi di Sara P. 1B















Se penso alla vita che conducono i pesci rossi mi rattristo molto. Il luogo in cui vivono è un posto senza senso, la loro boccia è tutt'altro che grande. Anche noi viviamo in una specie d'immensa boccia di vetro da cui non possiamo uscire se non con mezzi spaziali. Però non si può paragonare la nostra boccia con la loro: là stanno al massimo in due o tre nella nostra miliardi persone. I pesciolini, nell'acquario della vetrina di un negozio vicino alla strada guardano le macchine che sfrecciano come razzi e si fanno molte domande, chiedendosi il perché di tutto.

giovedì 7 febbraio 2008

Una lattina schiacciata (Di Zaira A. 3b)



Eccola, in un angolino, in un angolino remoto del parco giochi, eccola. È una semplice lattina di aranciata, vuota senza alcun valore.

Al suo interno alcuni insetti si stanno dissetando con le ultime gocce rimaste, mentre il sole cocente,in quest’afoso giorno d’estate illumina i suoi sgargianti colori.

È ammaccata, schiacciata,probabilmente i ragazzini del quartiere l’hanno presa a calci prima di buttarla nel praticello.

Quei ragazzini però non sapevano che questa lattina non si decomporrà per migliaia di anni, e che contribuirà all’inquinamento del nostro pianeta,contribuirà alla rovina del nostro ecosistema.

Ma questa semplice lattina, se buttata nel suo apposito contenitore, può fare molto, può essere riutilizzata, può essere riciclata.

Perché è ora che l’umanità si prenda le proprie responsabilità, partendo anche da queste piccole cose; certo buttare una sola lattina nel suo contenitore non è granché, ma è già qualcosa, è già un passo avanti, un modo per dire che quella persona che l’ha buttata è interessata alla salvezza del pianeta.

Ormai non possiamo più nasconderci dietro a futili scuse, dobbiamo reagire, non possiamo far finta che sia tutto un sogno, dobbiamo aprire gli occhi sulla realtà e chiederci : che futuro avranno i nostri figli ,se non facciamo qualcosa?

lunedì 14 gennaio 2008

whiterose-rosabianca


La Rosa Bianca è il nome di un gruppo di studenti tedeschi che pagarono con la vita la loro opposizione al regime nazista. La Weiße Rose era composta da Hans Scholl, sua sorella Sophie Scholl, Christoph Probst, Alexander Schmorell, Willi Graf, tutti poco più che ventenni, cui si unì successivamente il professor Kurt Huber. La nostra scuola si chiama così.