Riflettere sulla lingua non vuol dire “fare grammatica” nel senso tradizionale dell’espressione (studiare regole e regolette, terminologia astrusa, classificazioni poco trasparenti che si dimenticano in pochi giorni). Si tratta invece di un’attività formativa importante, che a scuola inizia con l’accogliere e valorizzare le forme spontanee di riflessione sulla lingua già presenti nei bambini, e prosegue poi accompagnando ogni attività didattica sulla e con la lingua con riflessioni almeno in parte sistematiche, in un linguaggio dapprima elementare poi via via più specifico.
La riflessione sulla lingua nazionale, o sulla lingua materna, deve essere in ogni caso subordinata allo sviluppo delle abilità linguistiche, cioè al raggiungimento della capacità di ascoltare, parlare, leggere, scrivere in modo adeguato all’età; ha finalità essenzialmente cognitive e contribuisce solo in via indiretta a un uso più consapevole e corretto della lingua. Contribuisce inoltre all’apprendimento delle lingue seconde, straniere, classiche, fornendo una base di riferimento comune a utili riflessioni comparative.
La riflessione sulla lingua dovrebbe avere carattere essenzialmente descrittivo: si tratta di vedere e capire come la lingua è usata, prima che di insegnare come dovrebbe essere usata. L’enunciazione di norme dovrebbe essere accompagnata dalla riflessione sulla loro variabilità nel tempo e nello spazio, secondo la stratificazione socio-culturale dei parlanti e secondo i mezzi e le forme della comunicazione; dovrebbe muovere dall’osservazione degli usi linguistici reali per giungere a generalizzazioni che saranno sottoposte a ulteriore discussione e verifica sugli usi reali. E questo avrà ricadute positive su tutti i suoi processi di apprendimento, in tutte le discipline.
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